“Non si tratta solo di migranti”, si tratta di… CHIARA!

Sono Chiara, ho 28 anni, sono laureata in Psicologia e da circa un anno e mezzo sono la responsabile dei volontari e dell’area della formazione a Casa Scalabrini 634. La mia esperienza con i migranti ha avuto inizio 4 anni fa con un viaggio missionario in Tanzania.  Anche se, per precisione, non è questo uno dei paesi da cui provengono più frequentemente i migranti che giungono in Italia.

Tra le tante cose che di questa esperienza porto con me, la più rilevante credo sia stata l’importanza della comunità costituita, in quel caso, non solo dal gruppo di ragazzi italiani con cui ero partita ma anche da quella formatasi grazie all’incontro con le persone del posto, le cui abitudini erano lontanissime dalle nostre e i cui tempi erano per noi, abituati a ritmi frenetici, così lenti da costringerci a stare anche ore senza fare assolutamente nulla. Quei momenti di “nulla apparente” sono stati il regalo più bello perché mi hanno aiutato a comprendere l’importanza di stare insieme ad un’altra persona senza necessariamente fare qualcosa.

Al rientro in Italia, ho sentito la necessità di portare nella mia vita quotidiana quello che avevo vissuto dall’altra parte del mondo e così, quasi casualmente, un mio amico mi ha fatto conoscere Casa Scalabrini 634. Inizialmente andavo, insieme a Claudio e ad alcuni ragazzi che vivevano in Casa, alla stazione Tiburtina a dare cibo e vestiti alle persone che ne avevano bisogno; solo più tardi ho iniziato a insegnare la teoria della patente.

L’anno successivo ho partecipato al Campo Io ci sto che gli Scalabriniani organizzano a Borgo Mezzanone, una piccola frazione in provincia di Manfredonia, dove si trasferiscono, soprattutto nei mesi estivi, i migranti per lavorare nelle campagne. Insegnavo italiano nella Pista di un ex aeroporto dismesso, trasformato in un accampamento informale, dove centinaia di migranti vivevano in piccole baracche di lamiera e vecchie roulotte con fili della corrente che ciondolavano nell’aria, e una vita vissuta nell’invisibilità, come se non fossero persone ma solo forza lavoro da usare nei campi. Ricordo il senso di alienazione: baracchette simili a quelle della Tanzania a 5 ore da Roma e vicinissime ai luoghi più turistici della Puglia.

Con il tempo, il volontariato si è trasformato in lavoro. Casa Scalabrini 634 è stata, ed è quotidianamente, quella che mi insegna a stare con l’altro diverso da me, a camminare insieme, ad accoglierlo nella sua diversità, affascinante e complessa allo stesso tempo. È una piccola e laboriosa officina delle relazioni che ti allena a incontrare l’altro, comprenderlo, ad arricchirsi della reciproca presenza, a conoscere Paesi lontani e a comprendere meglio il proprio attraverso punti di vista diversi.

È quella grande Casa gialla che, con i suoi inquilini e tutte le persone che la frequentano, sfida l’indifferenza con una piccola porta sempre aperta, la quotidianità e la forza della conoscenza reciproca.

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